In questo blog mi è capitato di scrivere qualche articolo riguardante la tecnologia: ho scritto sui miei primi passi nel mondo dell’informatica, ho scritto sull’opportunità o meno di far usare strumenti informatici agli alunni delle elementari, ho scritto su quello che abbiamo perso passando dall’analogico al digitale e altri ancora.
Questa settimana un servizio al telegiornale mi ha dato lo spunto per un nuovo post: si parlava di covid e dell’importanza di dover areare le classi scolastiche. Il servizio mostrava un sensore montato all’interno di una classe superiore in grado di misurare la concentrazione di anidride carbonica nell’aria e che, cambiando colore, avvisava della necessità di dover aprire le finestre. A questo punto mi è sorta spontanea una domanda: ma occorreva proprio un sensore per ricordarci che ogni tanto è meglio aprire le finestre? La sensazione che ho provato è che stiamo delegando così tanto alla tecnologia che ci stiamo dimenticando delle cose più ovvie.
La persona intervistata – un professore – anche se non ne sono certo, si rallegrava della “maturità” degli studenti nel far notare ai docenti che il sensore avesse cambiato colore. A questo punto devo confessare che ho avuto un pensiero malizioso e mi sono detto: “Ma non è che gli studenti erano più attratti dal colore del sensore rispetto a ciò che stava spiegando l’insegnante?”
Da “tecnologicamente nostalgica” (sono una di quelle che sente la mancanza del telefono fisso e delle cabine telefoniche), sono pienamente d’accordo con te. Voglio dire: c’è già la campanella, a scuola. Quando suona, tra una lezione e l’altra, si apre la finestra e si dà aria. Non mi sembra così difficile…
È proprio questo che mi fa specie. La mia sensazione è che poco alla volta, senza rendercene conto, stiamo diventando degli automi, non riusciamo più a far nulla se non abbiamo il supporto di uno strumento tecnologico che ci indichi cosa fare.